NOI SOTTO LE BOMBE
Roma, 30 giugno 2017. Il programma di lavoro per oggi prevede le news di pandoratv.it e un’intervista sul Donbass, l’est dell’Ucraina ancora sotto le bombe. Prima di uscire preparo, come di prassi, alcune domande, di stampo politico, anche se già intuisco che intervistare Anna Tuv e Viktoriya Shylova potrebbe essere un’esperienza dal segno indelebile.
Anna aveva 31 anni quando sulla sua casa si è abbattuta una bomba di 152 millimetri. Poco prima un drone ucraino aveva sorvolato l’abitazione. I bambini stavano giocando in giardino. Era il pomeriggio del 26 maggio del 2015. La vita della figlia Katya si è fermata a 11 anni, tra le urla del fratello Zakhar, che a 3 anni ha perso anche il papà, Yura. Ad Anna, protetta dal marito che, morendo, si è gettato su di lei, in quell’istante è rimasta Milana, venuta al mondo da due settimane, insieme ai traumi di Zakhar, segnato nel corpo e nella mente. Il corpo di Yura non c’era più: brandelli di carne, le braccia da una parte, le gambe da un’altra, gli organi interni distrutti. Il braccio destro di Anna fu ritrovato in strada. Ora una protesi è stata costruita per lei, qui in Italia. Zackar non riesce più a parlare, né a dimenticare, vive nella morte.
L’appuntamento è all’Hotel Il Quirinale. Senza neanche un’introduzione Anna e Viktoria, insieme a Marinella Mondaini che per noi traduce, mettono sul tavolo, una dietro l’altra, foto di bambini, tutti morti. Hanno fretta di raccontare, di gridare in faccia al mondo la verità nascosta dal mainstream media. Secondo i dati della rivista tedesca Frankfurter Allegemeine Zeitung, nel Donbass sono morte circa 50mila persone. Solo a Donetsk, sul Viale degli Angeli sono seppelliti 63 bambini. Decine di migliaia le abitazioni distrutte, una catastrofe umanitaria, un genocidio tra fratelli. Le azioni criminali dei battaglioni ucraini Azov, Tornado, Aidar, che si ispirano al nazismo hitleriano, sono state documentate anche da Amnesty International e Human Rights Watch. Questa volta inascoltate. Sulla popolazione sono cadute bombe a grappolo, bandite dalla Convenzione di Ginevra. Il 20% delle infrastrutture sono annientate: tra queste, anche gli ospedali. I bambini vanno a scuola nei sotterranei. Dal 2014 Viktoriya è Presidente del movimento ucraino contro la guerra ‘AntiVoyna’. E’ di Kiev. Al suo ritorno non può prevedere cosa la aspetterà. Il regime di Poroshenko vuole entrare nella NATO, ma la popolazione è stanca, cerca la pace. Le domande non servono più. Viktoriya è un fiume in piena: tra le bombe, che continuano a cadere sulla popolazione, tra gli spari quotidiani lungo le vie, circa 300 bambini non si trovano più. L’obiettivo di Kiev è “liberare” il Donbass, la terra che coraggiosamente oggi gli abitanti chiamano Novorossija, da coloro che ci hanno sempre vissuto, non più fratelli, ma esseri che non sarebbero degni di vivere, “superflui” vengono definiti dagli alti ranghi dell’esercito ucraino.
“Guardate negli occhi dei bambini e pensate quale terribile crimine ha commesso il nostro governo, privando questi ragazzi di un tetto sopra la testa, e molti di loro anche dei genitori”. Con queste parole Viktoriya guarda la telecamera esprimendo tutta la sua rabbia: l’orrore di questa guerra ha superato ogni ferocia. Delle bestie, chiamate uomini, hanno violentato bambini di un anno di vita. Bombardano prendendo di mira le case con i bimbi. Viktoriya fa vedere i disegni dei bambini sopravvissuti: in alcuni, emblematici, le bombe hanno una bandiera, quella ucraina, mentre le case hanno i colori della Russia. I bambini sanno quello che l’Europa non vuole vedere. Danil, che frequenta la Scuola 65 Triumf di Gorlovka, scrive: “Quando bombardavano forte i miei genitori mi nascondevano nel bagno. Tutto il tempo facevo questa domanda a mia madre: ma se noi siamo cittadini ucraini allora perché il nostro esercito ucraino ci spara? Mia madre non ha ancora risposto a questa domanda”.
Polina, sua compagna, prosegue: “Io vivevo, e non pensavo a niente. Mi sentivo di essere sfortunata per il mio primo infelice amore, per le litigate con gli amici, per i genitori che non mi capivano, per i problemi a scuola. Pensavo che tutte le sfortune capitassero a me. E pensavo, ma perché mi capita tutto questo? Perché non sto bene? In tutto questo casino non mi accorgevo di ciò che avveniva attorno. E all’improvviso è arrivata lei, la guerra. E’ arrivata nella mia città e mi ha costretta a vedere il mondo con altri occhi. Orribile parola, la ‘guerra’. Credo che se fosse una persona, sarebbe una donna molto crudele, che non si dispiace per nessuno. Né per i bambini, né per gli anziani, né per nessun essere umano. Allora ho avuto la mia prima lezione della vita, ho conosciuto la disgrazia vera, quando le persone muoiono e i bimbi piccoli non conoscono la pace, e tutto il resto sono stupidaggini che ci inventiamo noi da soli.”
Io, donna europea, non avevo mai visto foto simili, non avevo mai ascoltato simili orrori, non avevo mai sentito brividi simili scorrere dentro di me. Non c’era nulla da chiedere, dovevo solo rimanere ferma, come una semplice cronista che sta registrando la verità, quella sconosciuta. Un signore che ascoltava piangeva. Era quasi impossibile non farlo. Santiago, l’operatore che era con me, ha ripreso tutto. Faremo un video reportage la prossima settimana. Non oggi, perché qui a Roma oggi è festa. Io non so nemmeno quali immagini sceglierò per prime, mentre queste donne, più giovani di me, girano l’Europa, con la schiena dritta, e con il cuore infranto, mostrando foto, narrando le loro tragiche vite, per urlare la verità, sempre calpestata, o peggio, derisa.
A Roma oggi non fa più caldo. Gocce di pioggia hanno rinfrescato l’aria, oramai putrida della menzogna che qui uccide, per ora, solo le nostre menti.